MONDO MUSULMANO:SFIDE ED OPPORTUNITA'

Saprà Morsi guidare l’Organizzazione della Cooperazione Islamica nei prossimi tre anni? Dal 2 al 7 febbraio si è tenuto a Il Cairo il dodicesimo summit dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, OCI, “la seconda più grande organizzazione intergovernativa dopo le Nazioni Unite”, che riunisce 57 Paesi. Nata dal vertice di Rabat nel 1969, l’Organizzazione “è la voce collettiva del mondo musulmano” e si propone di tutelarne gli interessi, contribuendo a “promuovere la pace internazionale e l'armonia tra le varie persone del mondo”. La sessione d’apertura del summit è stata presieduta da Macky Sall, presidente del Senegal e presidente di turno uscente dell’OIC, che ha sottolineato l’attualità del tema del vertice “Mondo musulmano: nuove sfide ed opportunità”. Sall ha ceduto il testimone al presidente egiziano, Mohammed Morsi, che rivestirà la carica di presidente dell’OIC per i prossimi tre anni. Il summit, che ha visto la partecipazione di 26 capi di Stato e di governo, si è concentrato sui maggiori conflitti del mondo islamico, con attenzione particolare alla situazione siriana, l’intervento francese in Mali e la questione degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati. Ahmadinejad in Egitto. L’interesse mediatico per la conferenza è stato in parte dettato dalla visita del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in Egitto. La visita di Ahmadinejad a Il Cairo è stata la prima di un leader della Repubblica Islamica dal 1980, anno in cui i due Paesi hanno interrotto le relazioni diplomatiche a seguito della rivoluzione khomeinista in Iran del 1979, dell’ospitalità, e successivi funerali di Stato, concessi allo scià Pahlavi e al Trattato di pace firmato dal presidente egiziano Anwar Sadat con Israele. Ad approfondire la frattura, la decisione del governo di Teheran di dedicare un viale all’assassino di Sadat, Khalid Islambouli e la politica filooccidentale portata avanti da Hosni Mubarak nei suoi 30 anni alla presidenza dell’Egitto mentre l’Iran si trasformava uno dei principali antagonisti degli Stati Uniti nello scacchiere mediorientale. Alleanze politiche da ricostruire nella regione. Gli sconvolgimenti provocati dalla Primavera Araba hanno modificato lo status quo regionale e rimesso in discussione alleanze decennali. Mubarak è stato sostituito da Mohammed Morsi e da allora è in atto una lenta normalizzazione con le relazioni con l’Iran. L’Egitto sembra perseguire una politica del dialogo con tutti: da un lato ha aperto all’Iran, per dare un segnale all’Arabia Saudita, che finanzia i salafiti egiziani, diretti competitors dei Fratelli Musulmani in Egitto; dall’altro rimane fortemente dipendente dai petroldollari delle monarchie del Golfo e degli Stati Uniti, restii a vedere una collaborazione più stretta tra Egitto e Iran. Teheran, invece, con Assad alle prese con una guerra civile, è alla ricerca di nuovi alleati e non ha mai nascosto la convinzione che un’alleanza con l’Egitto potrebbe cambiare la geografia politica mediorientale. Primi segnali di disgelo tra le due più popolose potenze mediorientali erano arrivati nel febbraio 2011, ad appena una settimana dalle dimissioni di Hosni Mubarak, quando il capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate, generale Mohammed Hossein Tantawi, ha autorizzato il primo attraversamento del Canale di Suez da parte di navi militari iraniane dal 1979, l’anno della rivoluzione khomeinista. Da allora frequenti sono stati i contatti a livello di diplomatici e nell’agosto 2012 il presidente Morsi ha presenziato al vertice dei Paesi non allineati pur tenendo un intervento di dura condanna nei confronti del regime di Assad e dei suoi sostenitori, Iran in testa. Ora, Ahmadinejad ha promesso l’apertura di una linea di credito per gli egiziani e dal mese prossimo turisti e commercianti egiziani potranno recarsi in Iran senza dover richiedere il visto. Scenari geopolitici futuri. Sebbene di importante valore strategico, potrebbe essere prematuro parlare della nascita di un asse Egitto-Iran. A chiarirlo il ministro degli Esteri egiziano, Mohammed Kamel Amr, che ha dichiarato che la sicurezza paesi del Golfo è una linea rossa che l’Egitto non supererà. Come detto, l’Egitto dipende dai finanziamenti delle petrolmonarchie del Golfo e l’Iran, potenza confessionale sciita con ambizioni nucleari, è avvertita come una minaccia. È sulla Siria che le posizioni dei due Paesi appaiono inconciliabili. Mentre l’Iran è parte dell’Asse della resistenza composta da Siria, Hezbollah e Teheran e quindi naturale alleato di Assad, l’Egitto di Morsi si è schierato con i ribelli sunniti siriani. Il nodo principale resta lo scontro regionale Sciiti - sunniti. La volontà dell’Iran di riposizionarsi sulla scena regionale incontra un ulteriore ostacolo nella frattura dottrinale che divide il Medio Oriente e la comunità islamica: da un lato un mondo arabo sunnita maggioritario che vede nell’Egitto il suo faro, dall’altro un mondo sciita che ha nell’Iran persiano il suo perno. Questo scontro confessionale è stato evidenziato durante il colloquio tra Ahmadinejad e Ahmed al-Tayyeb, capo dell’ istituzione teologica dell'islam sunnita, Al-Azhar. Al-Tayyeb si è espresso contro una espansione dello sciismo nei paesi sunniti e ha esortato l'Iran a fermare lo spargimento di sangue in Siria. L’imam sunnita ha anche chiesto ad Ahmadinejad di non interferire negli affari delle monarchie del Golfo, citando in particolare il caso del Bahrain, ed ha sottolineato la necessità di riconoscere ai sunniti iraniani i loro diritti civili e politici. La visita di Ahmadinejad aveva provocato diversi malumori anche tra i salafiti egiziani, che avevano chiesto al presidente Morsi di vietare la visita.

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