L'ITALIA E GLI ALTRI PIGS: LA RELIGIONE DELLA TANGENTE
Classi dirigenti corrotte, corruzione endemica: così i Pigs declinano sempre di più, Italia in testa.
«Nell’Europa di oggi la corruzione è la più grande minaccia individuale alla democrazia. Sempre più persone nel nostro continente stanno perdendo fede nello stato di diritto». A dirlo, nel gennaio del 2013, è stato il segretario generale del Consiglio d’Europa, il norvegese Thorbjørn Jagland. Difficile dargli torto. Soprattutto considerando che i Paesi più corrotti d’Europa sono spesso anche democrazie in crisi. O non sono affatto democrazie (è il caso, ad esempio, della Russia di Vladimir Putin, dove la corruzione pesa, secondo le stime, per oltre il 20% del PIL).
Portogallo. Italia. Grecia. Spagna. Le iniziali di queste quattro nazioni formano l’odioso acronimo PIGS (che in origine includeva anche l’Irlanda). Usato da certa stampa, soprattutto anglosassone, per identificare in modo spiccio le fragili economie dell’Europa del sud. Quelle, in poche parole, responsabili della crisi dell’eurozona. Certo, si tratta di semplificazioni. La Lombardia che produce sembra avere poco a che spartire con il turistico Algarve; all’apparenza una metropoli globale come Barcellona dista anni-luce dal caos di Atene. Tuttavia qualcosa di vero, nell’acronimo PIGS, c’è. Crisi economica a parte, i Paesi citati hanno anche altro in comune. Ad esempio classi dirigenti in gran parte corrotte. La Milano degli scandali è davvero così diversa da Lisbona? La Catalogna clientelare non ha proprio nulla in comune con la Grecia? E considerando che ogni giorno, sui giornali dell’Europa meridionale, appare il nome di questo o quel politico accusato di corruzione, sono davvero così incomprensibili i trionfi elettorali delle forze più populiste e anti-sistema?
Alla fine c’è il pericolo di considerare la corruzione come una cifra culturale dell’intera Europa del sud. E di cadere negli stereotipi di certi tabloid nordici, che descrivono italiani, greci e spagnoli come un’accozzaglia di fannulloni dediti alla crapula e alla tangente. Quando poi si realizza che i PIGS sono tutti cattolici (fuorché la Grecia ortodossa), mentre le nazioni meno corrotte al mondo sono tutte protestanti (eccetto Singapore), il rischio di determinismo culturale diventa più concreto che mai.
«Il clientelismo e una cultura politica neopatrimonialista sono una caratteristica dei Paesi dell’Europa mediterranei. Nei Paesi cattolici la religione conta come un importante fattore per spiegare i comportamenti di voto e la cultura politica dominante. – spiega Luís de Sousa, ricercatore dell’Instituto de Ciências Sociais dell’Università di Lisbona nonché presidente della sezione portoghese di Transparency International – Comunque, non vorrei attribuire eccessivo rilievo alla religione, a scapito di altri fattori strutturali che potrebbero influenzare il modo in cui le persone percepiscono e interagiscono con la corruzione. Si dice che le nazioni meno corrotte al mondo sono protestanti, ma se si guarda in fondo alla classifica si noteranno molti Paesi subsahariani che furono colonizzati da Paesi protestanti».
Di avviso non diverso il professor Gianfranco Pasquino, docente presso il Bologna Center della School of Advanced International Studies della John Hopkins University. «La religione di certo conta, però ad esempio i cattolici dei Paesi a maggioranza protestante non sono più corrotti dei loro concittadini luterani o calvinisti. È quindi la struttura complessiva del sistema a pesare. Forse più che la religione, gioca un ruolo importante l’atteggiamento della Chiesa verso la corruzione. La Chiesa l’ha tollerata per troppo tempo, ritenendo i peccati di sesso più gravi di quelli di denaro».
D’altra parte proprio in un Paese profondamente cattolico, l’Irlanda (in passato membro dell’acronimo PIIGS), è stata escogitata una soluzione alquanto insolita per contrastare clientelismo e legami tra politica e finanza: far dirigere agli stranieri le banche locali, responsabili della crisi finanziaria che ha investito la nazione nel 2008. E così il britannico Matthew Elderfield, ex capo della Bermuda Monetary Authority, è stato scelto come capo dell’autorità di vigilanza finanziaria presso la Banca Centrale d’Irlanda. Secondo il Financial Times, che ha dedicato un articolo all’argomento, «nominare uno straniero a una carica così importante è stato un momento di grande svolta per l’Irlanda, una piccola nazione dove i legami familiari, le connessioni politiche e il clientelismo hanno dominato il settore finanziario».
Elderfield è in buona compagnia. Il vicegovernatore della Banca Centrale d’Irlanda, Stefan Gerlach, è svedese, così come il capo economista Lars Frissell. Insomma, a Dublino è sembrata una buona idea sfruttare la fama di onestà degli scandinavi per ridare un po’ di smalto etico al dissestato sistema bancario. Chissà se l’idea potrebbe essere importata, con qualche miglioria, nell’Europa del Sud… magari far governare la Grecia, e certe regioni italiane o spagnole, a qualche tecnocrate nordico. In fondo Danimarca, Finlandia e Svezia sono al primo, secondo e quarto posto nella classifica di Transparency International. Per loro una società senza corruzione è possibile.
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