L'EURO NON PIACE PIU' NEMMENO AI TEDESCHI
L'euro è un problema, sia per i forti che per i deboli ormai. E i “difetti” si struttura che già molti avevano sottolineando si stanno trasformando in crepe vistose, dissesti nei pilastri portanti.
Il che rende i “sacrifici” richiesti per tenerlo in vita ancora più intollerabili.
Uscirne non sarà una passeggiata, restarvi dentro significa – ogni giorno diventa più chiaro – rischare di restare sepolti dal crollo improvviso. Perché una moneta è poso più si un simbolo, un “segno di valore”; e presuppone che vi sia “fiducia” in chi l'accetta come controvalore di una merce, un servizio, un'altra moneta. Finché questa fiducia sta in piedi la moneta circola e svolge una funzione sociale/economica. Nel momento in cui viene meno scompare del tutto. Non passano né anni né mesi. Semplicemente nessuno accetta più dei pezzi di carta di cui nessuno può più garantire che domani vangano ancora qualcosa.
In un articolo de IlSole24Ore abbiamo trovato alcuni calcoli piuttosto chiari.
“L'uscita dall'euro costerebbe a ogni italiano tra i 9.500 e gli 11.500 euro, secondo uno studio della banca svizzera Ubs. Crollo del pil, disoccupazione di massa, collasso del commercio estero e panico finanziario: per gli analisti di Ubs, con il ritorno alla Lira, non è da escludere il pericolo di una dittatura o di una guerra civile. La fondazione tedesca Bertelsmann Stiftung ha definito l'Italexit come il "worst case scenario" anche per i partner europei: di qui al 2020 la Germania ci rimetterebbe 1,7 trilioni di euro, con un costo pro-capite di 21.000 euro, superiore alla stangata subita dagli italiani”.
A noi sembra dunque evidente che l'euro, fin qui, è servito soprattutto alle economie “forti” - come quella tedesca, ma non solo – per diventare ancora più forti. Ed è perfettamente logico. Se con la stessa moneta vengono misurate (“prezzate”) merci identiche contenenti una quantità di valore molto differente, è ovvio che sarà favorito chi ha speso meno per produrre. Facciamo un esempio “per assurdo”, come si faceva a scuola (qualche decennio fa). Un chilo di mele tedesche, sul mercato unico e con la stessa moneta, viene venduto a un euro; esattamente come il chilo di mele greche o spagnole. Ma quelle tedesche sono state raccolte e trasportate con sistemi meccanici veloci, mentre quelle greche o spagnole (stiamo facendo un ragionamento astratto, per chiarire un concetto chimato “composizione organica del capitale”, non ci venite a dire che anche in quei paesi si usano macchine! lo sappiamo...) vengono raccolte a mano, trasportate per chilometri su carrette e poi su vecchi camion lungo strade dissestate, ecco che quando arrivano finalmente sui banchi del mercato allo stesso prezzo si acquistano mele parecchio differenti. Quelle tedesche permettono un ampio profitto a chi le ha prodotte, le altre “mediterranee” si vendono in perdita o senza guadagno.
Trasportate il ragionamento in qualsiasi altro campo produttivo, e avrete un quadro attendibile di cosa voglia dire “via alta della competitività” (maggiori investimenti, migliori tecnologie, razionalizzazione dei processi e dei tempi di lavorazione, ecc). Mentre in Italia (e Spagna, Grecia, ecc) Confindustria preme ottusamente da decenni – ottenendo ciò che vuole! - per implementare la “via bassa” (minori salari, orario di lavoro più lungo, senza investimenti o quasi). Alla fine ci rimettono anche loro, per puro e stupidissimo egoismo dalla vista corta. Ma è inutile chiedere ai capitalisti un orizzonte temporale più lungo della prossima relazione trimestrale...
L'incapacità di comprendere la complessità dei processi si manifesta però in molti modi. Anche opposti. Si può insomma imputare la crisi del debito (pubblico e/o privato) si paesi, banche, aree monetarie, ai comportamenti “da cicala” dei paesi deboli oppure a quelli “egoisti” dei paesi più solidi. E non capire dunque che il vero problema è il sistema che li tiene insieme e rende obbligatorio – come in una rete di vasi comunicanti – che là dove c'è del “liquido” in più si verifichi una “cessione” verso dove c'è un livello più basso. L'euro e il mercato comune questo hanno fatto per decenni. Ora la crisi dei Piigs richiede che questo processo di trasferimento dai poveri ai ricchi si arresti. E naturalmente i ricchi non ne vogliono sapere.
Grazie Stefano per l'analisi chiara e diretta.
RispondiEliminaCredo che la teoria della guerra civile in Italia e disastro nell'esportazione in caso di uscita dall'euroze sia solo terrorismo informatico per convincere gli Italiani acrestare in europa per I ormai ovvi alti interessi di altri paesi.
Do soldi me ne intendo poco ma di cultura e societá un ó di piú.
Se l'Italia uscisse dall'eurozone e avesse un governo che dvvero rappresenta le aziende sane e il popolo non corrotto, avrebbe sicuramente un anno o due di assestamento tecnico e politico ma poi avrebbe un boom di export verso quei paesi che han da sempre seguito e spesso guardato all'Italia come esempio e ammirazione, paesi che tra l'altro sono in forte crescita economica e che I media ignorano o denigrano continuamente:
Brasile e paesi Sud Americani, Giappone, Nord Africa e West/Central Africa, China, Russia, Mefio Oriente.
Certamente alcuni di questi sono stanno giá lavorando con l'Italia ma sempre attraverso il filtro della moneta e legislatura Europea, dopo I rapporti sarebberi Diretti, riconquistando anche la nostra dignitá e reputazione internazzionale insieme ad una piú ricca economia.
Ma é chiaro é la mia opinione "popolare", non sono un economista come ho detto, ma se l'euro era un'affare, la Gran Bretagna che da sempre é all'avanguardia con I servizi finanziari si sarebbe tuffata a piombo e invece no, e non ne vogliono proprio sapere di concedere la loro amata sterlina con la corona stampata.