QUANDO IL DESIGN CREO' UN'INDUSTRIA DAL NULLA

Molti prodotti italiani sono l’immagine di un’epoca A Milano dal 9 al 14 aprile il Salone del Mobile «Studia, baùco»: par di sentirlo papà Carlo che spronava il figlio Tobia a finire una buona volta quella benedetta università. Si era bevuto come acqua fresca tutti gli esami “creativi” della facoltà di architettura, ma aveva lasciato alla fine quelli più pesanti. Analisi matematica, per esempio, il più mattone dei mattoni. E a lui Carlo Scarpa, veneziano, architetto e design fra i più noti, il fatto che il figlio (ormai alle soglie della trentina) non si fosse ancora laureato un po’ lo seccava. Ma a Tobia, e a sua moglie Afra, trevisana di Montebelluna, i pezzi di carta interessavano più che altro per disegnarci sopra. I due facevano coppia nella vita, ma anche sul lavoro. Più o meno nel 1957 avevano cominciato a disegnare oggetti per la più rinomata vetreria di Murano: Venini. Ma ora erano alle prese con il progetto di un divano: doveva essere semplice, comodo e funzionale. E così disegnano il Coronado, divano che la B & B Italia mette in produzione del 1966. Si rivela un successo: in sei mesi l’azienda è costretta a raddoppiare la superficie dello stabilimento per far fronte alla pioggia di richieste. Clamoroso, per un oggetto disegnato da uno che non era nemmeno laureato e che, per quanto riguarda il prezzo, non è neppure una cosuccia da due soldi. Coronado è un po’ il simbolo della capacità di affermazione del design italiano. Ma non solo. Afra e Tobia Scarpa (che, nel frattempo laureati, hanno progettato la sede della Benetton a Ponzano Veneto) hanno disegnato anche oggetti per i maggiori produttori del settore, dalla libreria Accademia di Meritalia, alla lampada Saturnina di Fabbian. La guerra dei divani era solo all’inizio. La B & B aveva acquisito un enorme vantaggio rispetto ai concorrenti, proprio grazie al suo divano Coronado. Ma la Cassina raccoglie la sfida e decide di ricorrere alla fantasia di un altro peso massimo del design: il milanese Vico Magistretti. Dalla sua matita esce un altro mito: il divano Maralunga. Entra in commercio nel 1973, non raggiunge le vette di vendita del concorrente ma gli viene attribuito un Compasso D’Oro, che è pur sempre una bella soddisfazione. Il Maralunga ha lo schienale ribaltabile e quindi si può scegliere se tenerlo in posizione eretta o reclinata. Magistretti, a differenza di Scarpa, ha già una cinquantina d’anni quando progetta questo divano. Sempre per rimanere nel campo delle sedute, un altro mito del design italiano è la sedia Plia. Pieghevole, accatastabile e sovrapponibile, un oggetto tanto diffuso da diventare familiare a tutti. Anche la Plia è figlia di un padre giovanissimo: il bolognese Giancarlo Piretti ha solo 27 anni quando la sedia viene presentata al salone del mobile del 1967. Il modello piace: parecchi campioni vengono portati via senza permesso; in altre parole, rubati. Ma va bene così: da quando Anonima Castelli la mette in produzione, nel 1969, ne vengono venduti oltre sei milioni di esemplari. «Si tratta di un pezzo destinato a diventare l’immagine di un’epoca», scrive Isa Tutino Vercelloni, in quel periodo direttrice della rivista Casa Vogue. La sua storica rivale, Franca Gualteri, che dirigeva la rivista Abitare, definisce Piretti «il Thonet del XX secolo». La Plia, struttura d’acciaio e schienale di plastica trasparente, è molto semplice e proprio per questa sua caratteristica (oltre all’impiego di materiali non ricercati) è stata definita espressione del “design democratico”. Il suo meccanismo permette di piegarla in una forma compatta che, una volta chiusa, ha uno spessore di soli cinque centimetri. Un modello della Plia è esposto nella sezione design del Moma di New York. Interessante notare che questi oggetti cult del design italiano sono stati spesso concepiti da giovani, in alcuni casi addirittura nemmeno laureati: vien da pensare che quella fosse un’altra Italia, quando davvero, più dei titoli, valevano il merito e le capacità.

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