DA SOLA, LA RICCHEZZA NON MISURA LA DISUGUAGLIANZA
In Italia il 10% della popolazione possiede il 45% della ricchezza, ma ciò non deve preoccupare.
[…]La discussione, per quel che posso dire, partì con un bizzarro episodio di scoperta tardiva di un dato contenuto nella indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia, ossia il fatto che il 10% delle famiglie possedesse il 45% della ricchezza. L’episodio, […], è bizzarro perché questo numero è stato “riscoperto” con vari mesi di ritardo in occasione della pubblicazione di un’altra indagine della Banca d’Italia, specificamente dedicata alla ricchezza. Comunque, bizzarro o no che sia il modo in cui il dato è risalito alla superficie, da quel momento sembra essersi imposto all’attenzione di tutti. Le proposte di patrimoniale per ripagare il debito pubblico sono a quel punto venute da sole.[…]
Ci sono però due domande abbastanza elementari che nessuno sembra essersi posto,[...]. La prima domanda è: se vogliamo valutare la disuguaglianza in una società, è una buona idea guardare alla ricchezza o è meglio guardare altre variabili, come il consumo o il reddito? E la seconda è: se guardiamo alla ricchezza, cosa dobbiamo considerare normale in termini di disuguaglianza nella sua distribuzione?
[…]In questo post voglio prima di tutto introdurre alcuni esempi per mostrare perché le risposte non sono affatto banali. In secondo luogo voglio svolgere alcune considerazioni teoriche aggiuntive sulla distribuzione della ricchezza e sulla sua relazione con il benessere.
Primo esempio: la società dei perfettamente uguali.
Rawlslandia Superiore è una società in cui tutti i cittadini sono perfettamente uguali. Ciascun cittadino vive esattamente 80 anni, ma per i primi 20 non forma famiglia a sé e non percepisce redditi (quindi non consideriamo gli under-20 nei calcoli della distribuzione della ricchezza). Per 40 anni lavora e per 20 percepisce la pensione. Poi muore e viene sostituito da un altro cittadino esattamente identico. La valuta di questo paese è il rawlso, di cui non darò il tasso di cambio con l’euro perché è irrilevante.
Come detto, tutti i cittadini sono esattamente uguali. In particolare, quando lavorano guadagnano 100 rawlsi ogni anno; di questi, 30 rawlsi vengono pagati in tasse per finanziare le pensioni e altre spese per l’infanzia, mentre 70 rawlsi restano al lavoratore. Quando sono in pensione i lavoratori percepiscono 40 rawlsi e non sono tassati. Non solo le capacità di generare reddito sono uguali, anche i gusti sono uguali. Ogni cittadino cerca di mantenere un livello di consumo costante (e il più alto possibile) per tutta la vita. Dato che tutti i cittadini guadagnano esattamente lo stesso nell’arco della vita, anche il loro consumo è esattamente lo stesso. Nessuno lascia ricchezza in eredità perché a Rawlslandia Superiore le tasse sull’eredità sono pari al 100% e non è possibile evadere in alcun modo.
[...]Essendo una società stazionaria, i cittadini adulti sono ugualmente ripartiti tra le diverse classi di età: un sessantesimo ha ventun anni, un sessantesimo ha ventidue anni etc. Non credo vi possano essere dubbi che questa è una società così uguale che più uguale non si può. Se guardassimo al consumo lo vedremmo subito. Tutti consumano esattamente lo stesso e la disuguaglianza, comunque la si misuri, è zero. Se guardassimo al reddito, vi sarebbe unicamente la disuguaglianza tra salari e pensioni. Ma la disuguaglianza tra i salari sarebbe esattamente zero. E’ zero anche la disuguaglianza tra i redditi complessivamente guadagnati nel corso del ciclo vitale.
E la ricchezza? Qua la cosa da capire è che la ricchezza evolve con l’età. Ricordate che ciascun cittadino ha l’obiettivo si mantenere inalterato il suo tenore di vita lungo il ciclo vitale. Siccome quando sarà in pensione guadagnerà meno di quando lavora, metterà da parte durante i 40 anni di lavoro (accumulando quindi ricchezza) e spenderà più di quello che guadagna (decumulando quindi ricchezza) durante i venti anni di pensione. Quanto esattamente mette da parte e come evolve la ricchezza? Per rispondere bisogna fare ipotesi sui tassi di interesse. Visto che stiamo considerando un esempio semplificato, supponiamo che il tasso di interesse sia costante nel tempo e pari al 2%. […]
La ricchezza totale […] è 10.826 rawlsi. Il 10% più ricco è costituito dalle sei classi di età con la ricchezza più alta, che risultano essere i cittadini con età compresa tra 57 e 62 anni (estremi compresi). La ricchezza totale da essi controllata è di 2.186 rawlsi, pari al 20,2% della ricchezza totale. Ossia, in questa società di perfettamente uguali il 10% più ricco controlla più del 20% della ricchezza. Il 10% più povero è invece costituito dai cittadini di età da 21 a 24 e 79-80 anni. Tutti assieme i poveretti hanno un patrimonio complessivo di soli 88 rawlsi, che è meno dell’1% della ricchezza totale.
In questa società di perfettamente uguali quindi il 10% più ricco ha una ricchezza che è spaventosamente più grande (più di 20 volte più grande!) del 10% più povero. Credo possiamo essere tutti d’accordo che questa disguaglianza nella distribuzione della ricchezza, in questa società, non dovrebbe turbare i sonni nemmeno dell’egualitarista più incallito. In altre parole, guardare alla ricchezza in questa società per stabilire l’effettivo livello di disuguaglianza è estremamente fuorviante.
Secondo esempio: la società dei dinamicamente uguali
A Rawlslandia Inferiore i cittadini sono anch’essi uguali, ma i loro salari non sono costanti lungo l’arco della vita. Invece, i salari sono bassi da giovani e crescono nel tempo, a un ritmo dell’1,5% annuo. Per il resto è tutto come in Rawlslandia Superiore […].
Il numero di partenza del salario netto (il salario nel primo anno di lavoro) lo scelgo in modo da generare lo stesso valore attuale del flusso di consumo che nell’esempio precedente: è pari a 53,65 rawlsi. Come detto il salario cresce dell’1,5% annuo, per cui al momento di andare in pensione un lavoratore ha un salario di 95,88 rawlsi. Dato questo flusso di reddito un cittadino può di nuovo finanziare un flusso costante di consumo di 63,61 rawlsi l’anno. Di nuovo quindi se guardiamo alla disuguaglianza nel consumo, questa semplicemente non esiste. Ciascuno consuma, in ogni anno della sua vita, esattamente lo stesso. I redditi ovviamente saranno più disuguali che nell’esempio precedente, con i vecchi che guadagnano più dei giovani. Ma ricordate che la dinamica del reddito è identica per tutti, per cui il valore attuale del reddito sul ciclo vitale è uguale per tutti.
E veniamo alla ricchezza. Qua c’è una complicazione rispetto al caso precedente, dato che all’inizio della carriera il valore del consumo è superiore a quello del reddito. Per mantenere costante il flusso di consumo è quindi necessario indebitarsi quando si è giovani, e si ha un salario basso, per poi pagare i debiti quando si è più vecchi e si guadagna di più. L’ipotesi che facciamo è che un cittadino paghi, sul proprio debito, lo stesso tasso di interesse (il 2%) che ottiene sui propri investimenti. Sappiamo che è un’ipotesi irrealistica, ma per il momento passatela;[…].
In questa società una fetta consistente della popolazione (tutti quelli tra 21 e 45 anni) ha una ricchezza negativa. Quelli con ricchezza negativa sono anche quelli con i salari più bassi. Se calcoliamo la ricchezza totale netta di questa società, ossia sottraendo il debito, otteniamo 5242 rawlsi. Il 10% più ricco a Rawlslandia Inferiore comprende di nuovo i cittadini con età intorno alla pensione, per l’esattezza i cittadini tra 59 e 64 anni, estremi compresi. Questi cittadini controllano una ricchezza pari a 2.115 rawlsi, pari al 40,34% della ricchezza netta. I più poveri sono gli appartenenti alle età comprese tra 31 e 36, ossia intorno all’età in cui si smette di accumulare debito e si comincia a risparmiare per ripagarlo. Intorno a queste età il debito è un po’ più di 70 rawlsi.
In questa società la concentrazione della ricchezza è molto maggiore che nella società precedente. In effetti il 40,34% non è tanto lontano dal 45% che ha scatenato le urla indignate di vari osservatori. La disuguaglianza salariale è anch’essa assai più alta. Ma questa è in realtà una società ugualitaria, in cui tutti consumano esattamente lo stesso a tutte le età e la somma del flusso scontato dei redditi lungo il ciclo vitale è identico per tutti. Anche in questo caso quindi guardare alla ricchezza è estremamente fuorviante. […]
Ultimo esempio: la società dei disuguali
[…]Nel paese di Lacandonia i cittadini sono divisi molto nettamente in due classi. Il 99% sono contadini. Ciascuno di essi ha un minuscolo pezzo di terra che fornisce appena di che sfamarsi, e nemmeno quello negli anni di carestia (il ché riduce la durata media di vita). Dato che il reddito dei contadini è uguale al consumo minimo necessario per restare vivi, essi non hanno alcuna possibilità di accumulare ricchezza, che resta quindi costante e sempre pari al valore del loro pezzo di terra. L’1% della popolazione è costituito da latifondisti. Questi sono discendenti di una banda di predoni che arrivò dal mare qualche secolo prima e si appropriò di vasti appezzamenti di terra mettendo a ferro e fuoco il paese appena scoperto. I gusti dei latifondisti sono tali per cui non sono interessati ad accrescere il valore dei terreni ma solo a goderne i frutti. Anche per loro il valore della ricchezza è costante e dato dal valore del loro latifondo.
Questa è chiaramente una società profondamente disuguale. Se si potesse misurare la disuguaglianza apparirebbe facilmente sia nei consumi sia nei redditi. Ma supponiamo che consumo e reddito non siano di facile misurazione, per esempio perché c’è molto autoconsumo e molto baratto. In tal caso guardare alla distribuzione del valore dei possedimenti terrieri fornisce una buona idea del livello di disuguaglianza presente nel paese.
Le società più ricche non sono necessariamente quelle dove si sta meglio
E’ venuto il momento di tirare alcune conclusioni dagli esempi. La prima, abbastanza sorprendente, è che non è vero che più ricchezza è uguale a più benessere. […] Comparate Rawlslandia Superiore con Rawlslandia Inferiore. Nel primo caso, quello con salari stazionari, la ricchezza netta totale è di 10.826 rawlsi, mentre nel secondo caso, quello con salari inizialmente bassi ma crescenti, la ricchezza netta totale è meno della metà, 5.242 rawlsi. Ma le due società sono in realtà identiche, dato che il livello di consumo è identico. Una persona razionale dovrebbe essere completamente indifferente rispetto a vivere a Rawlslandia Inferiore o Superiore.
Ma è possibile anche costruire esempi in cui la ricchezza è più alta ma si sta peggio. Ricordate che a Rawlslandia Inferiore i cittadini passavano buona parte della propria giovinezza ad accumulare debiti, che poi ripagavano da vecchi con i propri più alti salari. Immaginiamo ora che sia impossibile far debiti per finanziare il proprio consumo, o che i tassi di interessi che si pagano siano ben superiori al 2% e tali da scoraggiare i potenziali debitori. Che fare in una simile situazione? Una politica ottimale può essere la seguente. Nei primi anni di lavoro si consuma per intero il reddito e non si risparmia nulla. Quando il reddito raggiunge un certo livello si inizia a risparmiare. Da quel punto in poi il consumo resta costante e il giochino è il solito: si accumula fino alla pensione e poi si decumula.[…]
Il punto importante è che la ricchezza complessiva, pari a 7.916 rawlsi, è più alta che nel caso in cui i cittadini giovani potevano indebitarsi (5.242 rawlsi). Però questa è una società in cui si sta peggio. I cittadini vorrebbero mantenere il consumo costante lungo il ciclo vitale ma non ci riescono perché non possono pigliare a prestito quando vorrebbero. Il più alto livello di ricchezza risulta da questa forma di vincolo finanziario, ma non genera alcun incremento di benessere.
Conclusione
La domanda se sia utile guardare alla distribuzione della ricchezza nell’Italia del 2011 può essere ridotta alla seguente domanda: l’Italia assomiglia di più a Rawlslandia o a Lacandonia? Ossia, è un paese in cui la ricchezza si ottiene principalmente mediante il risparmio o mediante l’eredità?
In Rawlslandia la ricchezza cambia con l’età: cresce fino al momento della pensione e poi decresce. In Lacandonia invece resta sempre la stessa lungo il ciclo vitale, dato che la ricchezza è ereditaria e nessuno risparmia. Questi sono i dati dell’indagine sui redditi della Banca d’Italia sui valori mediani della ricchezza netta per classi di età (Tav. E2 pag. 73).
La variazione della ricchezza con l’età è evidente: si inizia giovani e poveri, si accumula e si raggiunge il massimo intorno all’età della pensione, poi si decumula. Chiaramente occorre guardare con più attenzione tutta l’evidenza empirica disponibile prima di trarre conclusioni, ma questi dati mostrano che la componente di costruzione della ricchezza mediante risparmio non è irrilevante.
A parte questo comunque è a mio avviso abbastanza chiaro che quando si cerca di valutare quanto sia diseguale una società, la ricchezza non è la variabile più utile, almeno nelle società industrializzate in cui il reddito della maggioranza dei cittadini è ben superiore alla soglia di sussistenza. Come minimo bisogna anche guardare a consumo e reddito.
Infine, quando possiamo dire che la ricchezza è concentrata e quanto ci dovrebbe preoccupare? Il 45% in mano al top 10% è tanto o poco? Abbiamo visto che in Rawslandia Inferiore, una società sostanzialmente di uguali, il top 10% controlla il 40% della ricchezza, quindi la risposta non è ovvia.
Commenti
Posta un commento