TIRARE A CAMPARE PUO' ESSERE PEGGIO CHE TIRARE LE CUOIA
Tirare a campare può essere peggio che tirare le cuoia
“Velocità e riforme”, le promesse di Letta. Finora troppi annunci, furbizie, stallo e incertezze.
Quasi tre settimane di melina non sono di per sé un indicatore preoccupante ma sono il tempo già consumato dal governo forzatamente bipartisan presieduto da Enrico Letta per mettere in fila una serie notevole di contraddizioni. Uno. Annunci e rinvii sull'Imu prima casa (ma è davvero la priorità mentre monta la disoccupazione?), promesse poi rimangiate sull'Imu sui fabbricati industriali (il vero salasso per negozi, botteghe e capannoni di artigiani e Pmi), ritocchi e correzioni confusamente abbozzati alla Legge Fornero e alla riforma delle Pensioni appena varata dal governo Monti fino alle incertezze relative al rifinanziamento della cassa integrazione. Due. Un giro in Europa sacrosanto e sulla falsariga di quello che fece Monti al suo esordio a palazzo Chigi per puntellare una coalizione di stati membri (Spagna e Francia) con cui andare a fare braccio di ferro con Berlino e mitigare l'austerity che ci sta strangolando ma dagli esiti dubbi, almeno finchè non si sarà votato in Germania. Tre. Una Convenzione per le riforme morta in culla e trasformata in una velleitaria commissione di esperti dedicata a formulare progetti e suggerimenti al parlamento e al governo (stiamo diventando una repubblica di falegnami: ad ogni scoglio creiamo un tavolo per lo più inutile). Quattro. Un ritiro di governo nato male e finito peggio in Abbazia a Spineto, immaginato "per fare spogliatoio", ma celebratosi il giorno dopo un episodio francamente imbarazzante: la partecipazione del ministro degli Interni nonchè vice premier Alfano ad una manifestazione di partito indetta a Brescia per protestare contro la magistratura (sic!). Un fatto lacerante, che ha diviso i maggiorenti del governo Letta dietro le quinte senza che il premier trovasse le parole e il tono per una reprimenda pubblica, forte e chiara, al comportamento del suo vice. Cinque. Una composizione di commissioni parlamentari fatte col bilancino del Cencelli che porterà verosimilmente allo stallo qualsiasi provvedimento sgradito. Sesto. Un programma che a quanto pare terrà fuori dalla porta qualsiasi tema considerato ostile o sensibile ai diversi azionisti dell'esecutivo (giustizia, taglio della spesa pubblica improduttiva e riforma Pa su tutte).
Arrivati a questo punto la parte che scalda di più i commentatori è l'accusa al premier di essere fin troppo subalterno ai diktat del vero uomo forte del governo: Silvio Berlusconi. Basti vedere ancora i giornali di questa mattina e la diatriba sulle intercettazioni. Vorrei invece prenderla da un'altro lato lasciando il Cavaliere sullo sfondo e tornare a fine aprile, quando questo governo nasce da un fatto extra-ordinario: il bis al Colle (prima volta nella storia repubblicana) di un vecchio signore (Napolitano) ormai pronto con gli scatoloni richiamato in servizio per costringere una classe politica incapace, matta e irresponsabile, a trovare un punto d'incontro. Un colpo di reni giustificato dall'urgenza di dare governabilità ad un paese in panne, in piena recessione, con un debito pubblico gigantesco, la disoccupazione che cresce e una pressione grillina fortissima che sta(va) accerchiando i palazzi del potere. Il giovane Letta sale a palazzo Chigi su questi precisi presupposti: 18 mesi di tempo per fare le riforme urgenti che servono al paese, raffreddare gli opposti estremismi, sgonfiare l'assalto di Grillo, tranquillizzare Bruxelles e i mercati e poi tornare al voto con una nuova legge elettorale.
Tutte motivazioni nobili e condivisibili a patto di rispettarle davvero. Se invece anche il governo Letta dev'essere un altro giro di valzer per comprare tempo, l'ennesima scialuppa su cui raccogliere i profughi più o meno colpevoli del fallimento della seconda repubblica, sigillando lo status quo della casta; se dev'essere l'ennesimo esecutivo litigioso, dove i partiti che lo appoggiano vivono da separati in casa e senza "palle" per superare i diktat incrociati di partiti moribondi, senza fantasia riformista, senza passioni e idee davvero innovative che ci si aspetterebbe da una squadra di quarantenni arrivati alla loro occasione storica, allora tanto vale passare subito a firmare da Roberto Giachetti per tornare al Mattarellum e rivotare il prima possibile. Il paese sta morendo di inazione e di melina, ha bisogno di uno scarto forte. "Velocità e riforme per non incartarsi", abbiamo scritto il 28 aprile, a commento del giuramento di Letta. Siamo sempre lì, altre cose non servono. O si imbocca subito quel sentiero oppure ci tocca smentire la buonanima di Andreotti: tirare a campare oggi in Italia è peggio che tirare le cuoia...
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