REQUIEM PER UN PD SENZ'ANIMA
Anziché accordarsi sulla candidatura di Epifani alla segreteria dovrebbero chiedersi perché si sono infilati in questo terribile cul-de-sac. Facendosi qualche domanda sull'identità politica che non sono mai riusciti a trovare
Si accapigliano, si perdono in verbose interviste, lanciano inutili tweet, ma non fanno l'unica cosa che tutti si aspettano: domandarsi il perché di una disfatta storica. Anzi, salvo ripensamenti dell'ultima ora, il Pd sembra andare in senso contrario: congresso più in là, un segretario balneare scelto dagli organi di partito e non dalle primarie, ieri inseguite, oggi rinnegate. Vietato aprirsi e riflettere.
EPPURE I DEMOCRATICI hanno vinto solo sulla carta e perso politicamente, lasciando per strada tre milioni di voti. Nonostante B. fosse arrivato al punto più basso della sua parabola (sei milioni di voti in meno); nonostante la disfatta di Di Pietro & C.; e nonostante il sangue donato al governo Monti in nome della responsabilità e della crisi. Insomma, se il 75 per cento degli italiani non ha scelto Bersani proprio quando potevano dargli la maggioranza, qualche colpevole ci deve pur essere. E non solo il segretario che almeno ha avuto prima la forza di tenere insieme la baracca e dopo la dignità di mettersi da parte.
La questione Pd è la sua identità. Berlusconi spara balle da vent'anni, ma i suoi elettori lo sanno e non se ne curano: non rispetta le promesse, ma almeno non fa il contrario. Il maggior partito del centro sinistra invece resta indefinito, ambiguo, contraddittorio e se sposa l'inevitabile rigore finanziario non ha però né la forza di spiegare perché né quella di proporre un'alternativa coraggiosamente riformista. Alla fine, non s'è imposta né la sinistra immaginifica di Nichi Vendola né quella bonaria e terragna di Pier Luigi Bersani. Anzi, dopo l'infausta avventura elettorale i due fronti si sono bellamente divisi, e magari ora l'uno pensa di fare a meno dell'altro.
In questi anni, poi, gli ex Pci hanno creduto che loro dovere fosse tenere in vita ciò che restava del glorioso partito comunista e di apparire graniticamente uniti anche in assenza di un qualunque collante ideologico. Con tale spirito prima hanno aderito all'Ulivo e all'Unione e poi co-fondato il Pd: il loro tenace istinto di conservazione ne ha impedito il rinnovamento profondo. Ecco perché Berlusconi conduce le sue campagne elettorali in nome dell'anticomunismo: la gente mica immagina i cosacchi in piazza San Pietro, ma capisce l'antifona.
Un'identità congelata porta con sé che ogni messaggio sia condizionato dal testimonial che lo espone: suona poco credibile sentir parlare di taglio delle tasse, liberalizzazioni e mercato del lavoro dal pur bocconiano Stefano Fassina. Con tutto il rispetto. Inoltre, il timore di apparire vecchi, obsoleti e tuttora postcomunisti li spinge a non essere critici e determinati quanto occorrerebbe, ma inutilmente dialoganti. Anzi, proprio l'ossessione del dialogo ha legittimato B. vent'anni fa, poi cancellato il Pds-Ds senza che al suo posto nascesse un soggetto tutto nuovo e oggi mette nei guai il Pd alle prese con un gruppo dirigente azzerato e stutture di partito occupate.
Forse, per dirla con Massimo D'Alema, teorico della Bicamerale, è stato un errore demonizzare Berlusconi. Chissà, certo è stato ancora più miope pensare di risolvere il problema per via giudiziaria o a colpi di commissioni per le riforme istituzionali abbandonando l'idea di dare vita a un vero progetto riformista e a un nuovo partito della sinistra. Tanto a Berlusconi e ai suoi di riforme e convenzioni importa zero, lui si cura solo delle sue pratiche giudiziarie in nome delle quali è disposto a fare qualsiasi cosa. E' un'anomalia che il Pd non riesce a scavalcare. Conclusione, da vent'anni la sinistra oscilla tra antiberlusconismo becero e inconcludente, che talvolta si piega a populismo e antipolitica, e dialogo di maniera per riforme che non si faranno mai.
IN QUANTO AL NUOVO CHE AVANZA nel Pd, il combinato disposto di liste decise dai cacicchi locali e di smisurato premio di maggioranza, ha condotto in Parlamento un esercito sconosciuto, diviso, senza un leader né un progetto. Tutti talmente consci della loro non identità, e così preoccupati di non assumere responsabilità di governo per non contraddire la loro anima antagonista, da costringersi ancora una volta a lasciare che a Palazzo Chigi andasse un postdc. Amen.
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