A GIAGUARO NON SMACCHIATO, IL PD RISCHIA L'IMPLOSIONE
Se gli ultimi disperati tentativi con l’M5S falliranno, sarà l’ora dell’abbraccio fatale con Silvio
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“Insistere”. Pier Luigi Bersani il verbo “insistere” l’ha utilizzato alla lettera davanti al Capo dello Stato. Nell’ultimo incontro-scontro (così è stato definito da alcuni maligni) che si è svolto ieri al Quirinale, il segretario dei democratici è stato più morbido, come gli avevano consigliato i suoi fedelissimi Miguel Gotor e Vasco Errani. Ma ha insistito perché ricevesse l’incarico “condizionato”. «In fondo cosa vuoi che sia un pre-incarico», scherzano al Nazareno per stemperare il clima teso di questi giorni.
Adesso il pallino è nelle mani del leader del centrosinistra. Riuscirà ad allargare il fronte e ad ottenere la fiducia nei due rami del Parlamento? O andrà a sbattere contro un muro? Anche in ambienti democratici la strada di Bersani appare in salita. «Il segretario non ha una bussola», sussurrano in molti. E infatti «il Capo dello Stato gli ha dato soltanto un incarico esplorativo», spiega un renziano di ferro.
Nonostante tutto, Bersani crede nell’impresa.«Rimbocchiamoci le maniche, e tutti a lavoro», avrebbe confidato a un fedelissimo uscendo dal Quirinale. Il primo obiettivo del segretario sarà quello di spaccare il gruppo parlamentare del M5S. Impresa non facile. L’anello debole dei “Cinque Stelle” è rappresentato dagli eletti in Sicilia, che in occasione dell’elezione del Presidente del Senato Pietro Grasso si sono opposti alla linea di Beppe Grillo. Un drappello di sei senatori che nelle prossime ore «potrebbe addirittura aumentare». A questa operazione starebbe lavorando il senatore democratico Beppe Lumia, big sponsor del governatore della Regione siciliana Rosario Crocetta, a sua volta artefice di un’alleanza strategica con il M5S all’Ars. Il senatore dem starebbe facendo pressioni su Giancarlo Cancelleri, leader dei grillini in Sicilia, e oggi fra i personaggi più influenti nel partito di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo.
L’idea sarebbe quella di costituire un gruppo di “responsabili” grillini che possa garantire la maggioranza al segretario del Pd. Ma i numeri sono ballerini, e il M5S è già riuscito a rintuzzare la fronda dei “ribelli” che hanno optato per l’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Del resto, come spiega a Linkiesta un dirigente del Pd di estrazione democristiana, «i grillini sono riusciti a coprire il rischio fuga evitando di espellere i ribelli». Per questo motivo, «siamo molto cauti nell’approccio, nel dialogo. Altrimenti questi ci sputtanano».
In realtà ci sarebbero altri del Pd che starebbero lavorando in questa direzione con l’obiettivo di convincere altri frondisti “grillini” sparsi nel continente. E fra i dialoganti del M5S – raccontano a Linkiesta – ci sarebbe un avvocato fiorentino, Alfonso Bonafede, eletto alla Camera, che starebbe facendo un lavoro di mediazione con il Pd. Eccolo nella sua autopresentazione sul web:
Di certo se l’operazione politica dovesse fallire sarebbero guai per il partito democratico. Bersani vede come il fumo negli occhi un’alleanza strategica con il centrodestra «per il bene del Paese» anche se Napolitano si è rivolto a «tutto il Parlamento». I “giovani turchi” capitanati da Matteo Orfini hanno già fatto sapere che «senza il sostegno dei grillini» non condivideranno un accordo con il centrodestra di Silvio Berlusconi. Mentre la vecchia guardia del partito pensa che l’unica carta vincente sul tavolo, previo passo indietro di Bersani, sarebbe quella di un accordo con il centrodestra, o con una parte di esso, «per un governo che duri più di un anno». O, come dicono alcuni ex democristiani scherzando, «un governo con il centrodestra di sei anni».
Battute a parte, «senza un sostegno certo nei due rami del Parlamento», si dovrà trovare comunque una soluzione. Al momento il ragionamento che circola al Nazareno, sede nazionale del Pd, è il seguente: «Se tu curi la malattia facendo le riforme necessarie per la crescita del Paese, e riorganizzi la legge elettorale, rintuzzi il fenomeno Grillo». Ma ad oggi, dopo il pre-incarico al segretario, si prefigura il diluvio. E la conseguenza per il Pd potrebbe essere soltanto una: l’implosione del partito. «Se non si chiude questa partita saranno cazzi amari per il Pd», mormorano dallo stato maggiore.
Ecco perché la maggioranza del Pd già guarda al sindaco di Firenze. «Renzi è il futuro, è consolidato», sibila all’orecchio un bersaniano d’acciaio. Matteo”sa che tutti presto si scopriranno renziani. E, questo compiacimento, questo rincorrere «il futuro leader», non gli garba. Infatti in questi giorni il sindaco è silente, si frena sui social network, come gli ha suggerito il suo staff. Del resto, presto potrebbe toccare a lui. Ma fino all’ultimo minuto vuole mostrare «fedeltà ed onestà» a Pier Luigi Bersani.
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