ITALIA E CEMENTO, SE LA POLITICA NON FA DISTINZIONI
Italia e cemento, se la politica non fa distinzioni
Italia paese cementificato, ma in molti si oppongono al cambiamento; profitti alle stelle per i privati e lo Stato si arrende alla grande colata.
Partiamo dai numeri: produciamo ogni anno una media di 565 kg di cemento per italiano, contro i 404 kg della media europea. Cui vanno aggiunti i materiali inerti, enormi quantità di sabbia, ghiaia e pietrisco, necessari a realizzare il cemento, ossia circa 5.736 cave attive e 13 mila dismesse, senza contare quelle non censite, dato che non tutte le Regioni lo fanno. Un ricavo di più di un 1 miliardo di euro all'anno per le imprese del settore, mentre nelle casse pubbliche, in cambio delle concessioni per le cave, entrano meno di 45 milioni. La tassazione media sull'attività estrattiva è all'incirca del 4% o nulla per regioni come Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Secondo i dati appena pubblicati da Ispra sono stati coperti di cemento, in media, più di 7 metri quadrati al secondo per oltre 50 anni. Attualmente ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quella di Milano e Firenze.
Con buona parte di questo cemento si sono costruite nel 2009 circa 260.000 abitazioni e fabbricati non residenziali. Secondo gli ultimi dati dell'Istat, nel decennio 2001-2011, di fronte a un incremento della popolazione stimato in un milione di nuclei famigliari, sono stati costruiti più di 1 milione e mezzo di nuovi alloggi residenziali. Ne avanzano... Secondo un dossier del 2011 sul mercato edilizio italiano, realizzato dalla commissione Ambiente e lavori pubblici della Camera, tre anni di mercato in flessione hanno prodotto un invenduto che si attesta attorno ai 120.000 alloggi. Anche perché i prezzi delle case non sono più accessibili ai normali lavoratori e ottenere un mutuo in banca è un'impresa con risvolti spesso grotteschi. Gli aiuti di Stato alle banche non si riversano sull'economia reale, sulle necessità dei cittadini.
Costanza Pratesi, responsabile ufficio Ambiente e paesaggio del Fai: "In Italia non si può tracciare un cerchio del diametro di 10 km senza intercettare un nucleo urbano". Una crescita a macchia di leopardo priva di pianificazione, tanto che "Mentre negli insediamenti storici c'è vicinanza tra abitazioni e servizi urbani, in quelli moderni la lontananza genera necessità di infrastrutture e ulteriore consumo di territorio", continua la Pratesi. "Siamo a un vero e proprio punto di crisi delle costruzioni in Italia", commenta Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, "Malgrado milioni di case costruite negli ultimi due decenni c'è una grave emergenza abitativa nelle città. Proprio la crisi deve portare a un cambiamento, ora la priorità devono essere lo stop al consumo di suolo e gli investimenti nelle aree urbane, dove demolire e ricostruire per dare case a chi ne ha veramente bisogno e con consumi energetici azzerati, dove portare tram e metropolitane, e per mettere in sicurezza il territorio".
Grosso contributo poi è dato dall'abusivismo, visto che secondo un dossier di Fai e Wwf, dagli anni Cinquanta a oggi, si sono registrati 4,6 milioni di abusi edilizi: 75.000 all'anno, 207 al giorno. Costruzioni realizzate senza il rispetto delle norme antisismiche o in zone a rischio idrogeologico, che alla prima calamità naturale cascano come castelli di carte. E contestualmente i condoni edilizi, tanto di moda nel nostro paese, "In occasione delle tre normative del 1985, 1994 e 2003 sono stati richiesti 4 milioni e mezzo di condoni, di cui due terzi si concentrano in cinque regioni: Campania, Campania, Calabria, Lazio, Puglia e Sicilia", spiega Gaetano Benedetto, direttore politiche ambientali del Wwf ". E in campagna elettorale Berlusconi è passato dal promettere i condoni fiscali ai condoni edilizi, contribuendo ancora una volta alla diffusione dell'abusivismo, tanto poi c'è il condono.
Un tentativo, che sarebbe stato di portata storica, lo ha fatto il Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Antonio Catania, con la presentazione di un disegno di legge praticamente affossato dalle Regioni. Prevedeva la fissazione di una estensione massima di superficie agricola edificabile su scala nazionale; la previsione di un divieto di modifica della destinazione d'uso per 5 anni dei suoli agricoli beneficati da aiuti statali o comunitari; e infine interventi di sostegno alle opere di riqualificazione degli edifici rurali, per attenuare lo sviluppo urbano. Ma soprattutto prevedeva l'abrogazione della norma di legge che consente ai Comuni di distogliere parzialmente i contributi per gli oneri di urbanizzazione e destinarli alla copertura delle spese correnti. In tal modo si sarebbe alterato quel meccanismo perverso che porta i Comuni ad autorizzare con facilità nuove opere edificatorie al solo scopo di fare cassa. Eppure per le Regioni, che hanno trattenuto il disegno di legge in osservazione per mesi impedendone di fatto la conclusione dell'iter, la proposta era verticistica ed addirittura inutile. Senza distinzione politica, a partire dal presidente della conferenza delle Regioni, Vasco Errani, da destra e da sinistra tutti, nonostante i proclami sull'ambiente e sulla messa in sicurezza del territorio, rimangono attaccati al mattone...
Addirittura le associazioni dei costruttori organizzano la Giornata della Collera a Milano, per rilanciare la centralità dell'edilizia nell'economia italiana, settore che a loro dire negli ultimi 5 anni ha subito una riduzione del 26 % degli investimenti, con molte imprese che chiudono e 360.000 posti di lavoro in meno, con livelli di produzione di 40 anni fa... Propongono un programma in sei punti chiave da sottoporre al futuro governo per il rilancio del settore, basato su fisco credito e qualità (almeno questa...). Li appoggia il presidente di Confindustria Squinzi Giorgio, così diecimila caschetti gialli da lavoro punteggiano il selciato di piazza Affari, a Milano...
Stefano Carluccio
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