REQUIEM PER L'UNIVERSITA' RIFORMATA

Il taglio dei fondi voluto da Berlusconi e Monti provocherà il default di 20 atenei Il Consiglio Universitario Nazionale (Cun) celebra il requiem delle riforme che hanno stravolto l’università italiana negli ultimi vent’anni. Il documento licenziato ieri dall’organo di consulenza del ministero dell’Istruzione composto da 58 membri ha denunciato il calo di 58 mila studenti tra il 2003 e il 2012, pari al 17%. In dieci anni i nuovi immatricolati sono scesi da 338.482 a 280.144. Per il Cun «è come se fosse scomparso un ateneo grande come la Statale di Milano». Un crollo che non è stato compensato dall’ingresso degli studenti stranieri che hanno registrato una crescita da 8.252 a 11.510. A cascata, diminuisce la percentuale dei diplomati che si iscrivono all’università. Dal 68% del 2007-8 al 61% del 2011-2. Per il Cun queste flessioni sono dovute «all’andamento negativo del ciclo economico» e alla «diminuizione delle opportunità occupazionali per i laureati». Il titolo di laurea non garantisce l’accesso ad un lavoro perché il «mercato del lavoro pubblico e privato non sempre riconoscono il valore di un’elevata qualificazione scientifica e professionale». Lo ha confermato un rapporto sulle economie regionali di Bankitalia che ha illustrato il «disallineamento» tra le competenze acquisite nel corso di studio e le mansioni svolte sul luogo del lavoro. Circa il 40% dei laureati tra i 24 e i 35 anni svolge un lavoro a bassa o nessuna qualifica. In compenso Coldiretti ha rivelato ieri che il 6,2% dei capi azienda nel settore agricolo ha frequentato facoltà diverse da agraria. In ventuno pagine il Cun illustra le conseguenze della frattura tra il mondo universitario e quello del lavoro. E traccia il profilo del fallimento delle riforme universitarie che, dal 2000 con la «Berlinguer-Zecchino» fino alla Gelmini, hanno cercato di tamponare un problema al quale nessuno fino ad oggi è riuscito a dare una risposta. A pochi anni dalla riforma del centro-sinistra l’Italia aveva già registrato una riduzione della quota di occupati tra i laureati, in controtendenza rispetto al complesso dei paesi dell’Unione Europea. In più, come oggi conferma il Cun, il numero dei laureati non è cresciuto a sufficienza per schiodare il paese dal 34° posto (su 36) della classifica dei paesi Ocse. Oggi tra chi ha tra i 30 e i 34 anni solo il 19% possiede un diploma di laurea, contro una media europea del 30%. Se questi dati registrano il fallimento della riforma ad inizio decennio, ce ne sono altri che seppelliscono l’ultima, quella Gelmini, che ha agito sulla riduzione dell’offerta formativa e sulla rimodulazione dei dipartimenti e dei corsi di laurea. La battaglia contro la proliferazione dei corsi di laurea e delle sedi decentrate degli atenei, per l’allora «meritocratico» ministro al governo fonti di «sprechi» e specchio del desiderio della classe accademica di moltiplicare i pani e le cattedre, ha conseguito dei risultati. In sei anni ne sono stati tagliati 1.195, sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici/magistrali. Il taglio di almeno 960 milioni al fondo degli atenei voluto da Tremonti e Gelmini tra il 2010 e il 2012, quello di 300 milioni della legge di stabilità di Monti e Profumo nel 2013 provocherà, con ogni probabilità, il default di 20 atenei. Quest’anno il totale del finanziamento statale erogato ogni anno sarà inferiore alla somma delle spese fisse a carico dei singoli atenei. Al deliberato progetto di ridimensionare l’università pubblica si è aggiunto il blocco del turn-over che ha ridotto il numero dei docenti del 22%. E nei prossimi 3 anni il Cun prevede un ulteriore calo. In questo modo aumenterà la media del rapporto tra docenti e studenti al 18,7% contro una media Ocse del 15,5. Come hanno più volte denunciato gli studenti, e i ricercatori, che sino che hanno manifestato il loro dissenso dal 2008 fino allo scorso autunno, quello in atto è un vero testacoda. Alla crisi del «mercato» del lavoro qualificato, lo Stato reagisce tagliando le risorse strategiche. In questo scenario di precarizzazione indiscriminata bisogna inserire anche le norme contenute nel decreto sulla programmazione triennale dove il Miur annuncia che proseguirà con la fusione tra due o più università, eliminando i corsi di laurea «non sorretti da adeguati standard di sostenibilità». Il presidente del Cun Andrea Lenzi chiede alla «politica» di rifinanziare l’università. Stessa richiesta giunge da Domenico Pantaleo, segretario Flc-Cgil, secondo il quale i dati del Cun «danno la misura dell’impoverimento culturale del paese». Il Pd attribuisce il fallimento solo al governo Berlusconi e a quello Monti che ha sostenuto. Promette una legge a sostegno del diritto allo studio, annientato in questi anni. Lo chiamerà «Programma nazionale per il merito» con 500 milioni e vogliono riportare i «giovani in cattedra». A queste soluzioni non credono gli studenti del coordinamento Link che denunciano anche l’aumento delle tasse di 283 milioni in cinque anni: «Siamo indignati dalla totale assenza di soluzioni ai problemi dell’Università». Di «emergenza nazionale» parlano i ragazzi dell’Udu.

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