IL QUADRO DEGLI SCHIERAMENTI ALLE ELEZIONI POLITICHE 2013

Le alleanze a pochi giorni dalla presentazione delle liste: a destra ancora nodi da sciogliere Dopo oltre due anni di sospiri, ci siamo. Mancano meno di due mesi al voto, meno di due mesi per iniziare una nuova legislatura. Tutto è cominciato un’era geologica fa, nel lontano tempo in cui, di fronte ad un Berlusconi accusatore che lo attaccava dal palco, Fini si alzava e con l’indice all’insù chiedeva, adirato e retorico: “che fai, mi cacci?!”. Era la primavera del 2010. Ne sono successe tante da allora: la nascita di Fli, il tentativo fallito di far cadere il governo a dicembre dello stesso anno, la foto di Vasto, la caduta di Berlusconi e l’arrivo del governo Monti, le amministrative 2012 che delineano la disfatta del PDL e l’esplosione del Movimento 5 Stelle. Da questo punto, un grande rimescolamento di carte che condensa tutte le attese nelle primarie del centrosinistra, nello scontro Bersani-Renzi, il cui risultato tutti aspettano per decidere cosa fare. E infatti quel risultato è determinante: dalla vittoria di Bersani al ritorno in campo di Berlusconi passano 3 giorni, dopo un intero anno di attesa. E oggi? Gli schieramenti che si preparano a competere per il governo del paese nella prossima legislatura sono sia frutto di un lungo lavoro di preparazione, sia dovuti al dicembre ricco di colpi di scena appena trascorso. Ma il coordinamento delle elite non sembra ancora essere finito. Per semplicità, adottiamo il consueto continuum sinistra destra, non senza qualche difficoltà; citerò esclusivamente gli aggregati che ritengo rilevanti e con speranze di entrare nel prossimo parlamento. Da sinistra, troviamo innanzitutto un soggetto con una faccia nuova ma con una struttura nei fatti vecchia. Sto parlando degli arancioni di Ingroia, che ancora non è chiaro come si chiameranno di preciso. Dietro al volto del magistrato di Palermo, che ha chiesto l’aspettativa, troviamo un’accozzaglia di personaggi e liste: post-comunisti, verdi, Italia dei Valori, e sindaci come Luigi de Magistris e Leoluca Orlando. Cos’hanno tutti in comune? Non avevano speranze di tornare a contare qualcosa nel panorama nazionale. Ingroia ha offerto loro una chance, ma lui stesso sembra essersi reso conto che, qualsiasi nome adotti per la sua lista, forse il 4% necessario ad entrare alla Camera potrebbe non raggiungerlo comunque, e allora epic fail. Così ha chiesto a Grillo una collaborazione, ma per il momento ha trovato la porta chiusa. Ma di Grillo parleremo più avanti. Di Ingroia e dei suoi per ora diciamo solo che, ad oggi, probabilmente presenteranno una lista sia alla Camera che al Senato, e non una coalizione. Nel centrosinistra troviamo i probabili grandi protagonisti di queste elezioni: la coalizione guidata dal vincitore delle primarie, Pierluigi Bersani. I partiti che troveremo sulla scheda elettorale, all’interno della coalizione, saranno probabilmente solo PD e SEL, mentre è probabile che gli esponenti del PSI trovino posto direttamente dentro la lista PD, perché non si dia l’impressione di un gran calderone. I sondaggi danno questo schieramento saldamente sopra il 30% da mesi. Grazie alle primarie per il candidato premier, la coalizione ha attirato nuovi consensi e naviga ormai sul 35-36% delle intenzioni di voto, con la possibilità di sfiorare il 40% nel rush finale. Sia PD che SEL hanno fatto le primarie per compilare una parte delle liste per i parlamentari, e accanto a diversi volti conosciuti che hanno animato il dibattito sul rinnovamento negli ultimi mesi (leggi Rosy Bindi) troveremo tanti, davvero tanti trenta-quarantenni nelle prime posizioni in lista. Per il PD e SEL, vincere il premio di maggioranza alla Camera (basta arrivare primi) è quasi scontato, anche se per ora, quasi per scaramanzia, sono in pochi a dirlo. I problemi sono al Senato, dove i premi di maggioranza si assegnano regione per regione e il rischio di un pareggio stile 2006 è concreto. Ed è proprio qui che entra in scena la lista Monti. Al centro dello spettro politico troviamo infatti la coalizione di forze guidata dal dimissionario presidente del consiglio, che dopo un lungo tira e molla ha sciolto ogni riserva e ha iniziato a interpretare a tutto tondo la parte del leader in campagna elettorale, con attacchi quasi quotidiani al centrodestra, che resta il suo bacino di riferimento, e offensive mirate alla sinistra di Bersani, per guadagnare i consensi dei moderati delusi o scontenti. Difficile definire le potenzialità della lista Monti, che pare si presenterà come una coalizione alla Camera (per consentire ai vari leaderini di gestire le proprie liste, a Casini in primis) e come una lista unica al Senato, dove le soglie sono più ostiche e dove si gioca la vera battaglia. Infatti Monti gioca la propria sfida sulla sconfitta del centrosinistra proprio al Senato, in modo da poter tornare poi al governo sostenuto da una coalizione che contempli obbligatoriamente i moderati del PD (visto che il csx avrebbe la maggioranza assoluta alla Camera), i centristi e i moderati del centrodestra. Allo stesso tempo però, i voti che Monti sottrae al centrodestra potrebbero essere determinanti per la vittoria del csx nelle regioni chiave su cui si giocano queste elezioni, quelle del Nord, innanzitutto la Lombardia. E veniamo infatti nel centrodestra, dove continua a strascicarsi la definizione dell’accordo tra Berlusconi e la Lega Nord. L’alleanza è la chiave sia per le elezioni della Regione Lombardia, sia per quelle nazionali. Infatti, Lega e PDL separati significano, molto probabilmente, la sconfitta in entrambe le competizioni. Per il governo del Pirellone si sfidano al momento Ambrosoli per il csx, Albertini per i centristi di Monti e Maroni per la Lega. Il nodo in questo momento è che la Lega non accetta una coalizione con Berlusconi candidato premier, e propone al tempo stesso di presentarsi con Tosi candidato premier. Dal suo punto di vista, la Lega non ha tutti i torti: sostenere di nuovo Berlusconi è davvero poco accettabile per la base leghista, mentre andare da soli potrebbe avere un effetto rigenerante per un partito che deve consolidare la nuova leadership con un bagno elettorale, dopo l’uscita di scena di Bossi. Al tempo stesso, Berlusconi si trova a raccogliere i cocci del suo partito, aspettando a presentare un ipotetico nuovo soggetto, e dovendosi muovere anche in direzione del duo Crosetto-Meloni, che probabilmente andranno a raccogliere una solida fetta del vecchio bacino di Alleanza Nazionale. Insomma, sull’alleanza tra Berlusconi e Maroni si gioca il futuro governo, perché insieme hanno quasi in tasca il premio di maggioranza al Senato in Lombardia e Veneto, che automaticamente toglie al csx la possibilità di governare da solo senza allearsi coi centristi. E a sottrarre loro voti e a condizionare questo risultato c’è proprio Monti. Qualcuno a questo punto potrebbe dire: ci si è dimenticati di Grillo, chi scrive ragiona in termini vecchi e su schemi superati. Ma ho lasciato in fondo il comico genovese alla guida del Movimento 5 Stelle proprio perché è difficile collocarlo su uno schema sinistra destra. Ok, Grillo è populista. Ma il populismo è di destra? Il dibattito teorico in materia, a livello europeo e internazionale, è talmente complesso che io, nel mio piccolo, evito volentieri di infilarmici, anche perché l’ho dovuto studiare, e verso di esso provo un religioso timore. E visto che proprio Grillo potrebbe rappresentare una controprova unica al mondo in questo dibattito, riservo queste considerazioni ad articoli futuri. Ma Grillo è certamente un protagonista di queste elezioni. I “cittadini” del Movimento 5 Stelle entreranno a frotte in Parlamento, sia alla Camera che al Senato, visto che al momento sono dati sopra il 15%. Cosa succederà loro quando varcheranno le sacre soglie della politica nazionale? Si “corromperanno” o metteranno in scena l’opposizione parlamentare più dura e cruda dai tempi della gioventù di Pannella? Da parte mia credo che eserciteranno un’utile funzione di “controllo” su chiunque vada al governo, pronti come saranno a mettere sulla piazza, ancorché informatica, qualsiasi nefandezza avranno modo di vedere. Li chiamerò “utili schegge impazzite”, dove impazzite non rappresenta lo status mentale ma il (presunto) comportamento anomalo rispetto agli schemi tradizionali. Vero è anche che un movimento, quando entra in Parlamento, cambia per sempre, perché si forma un’inevitabile linea di demarcazione fra gli eletti e la base. Per questo, Grillo si è ritagliato a sua volta il ruolo di “controllore” su chi siederà nelle aule romane, attento a tenere strette le fila ed evitare uno Scilipoti 2 la vendetta. Un panorama composito insomma, quello che ci si presenta a pochi giorni dalla presentazione delle liste (34 giorni prima delle elezioni, fissate per il 24 febbraio). E i nodi da sciogliere sono i più importanti. Una cosa è certa: non c’è dubbio che il prossimo Parlamento sarà molto diverso da quello estremamente bipolare delle ultime legislature. I “terzi poli” saranno consistenti, e in caso di mancato raggiungimento della maggioranza assoluta al Senato, giocheranno un ruolo fondamentale nella formazione del prossimo governo. La Lombardia è la nostra regione “swing”, come dicevamo degli stati in bilico nella competizione presidenziale statunitense. I manifesti elettorali già affollano gli spazi pubblicitari delle nostre città. Prepariamoci ad una delle campagne elettorali più dure degli ultimi 20 anni. Perché stavolta nulla è scontato. Stefano Carluccio

Commenti

Post più popolari