Il “vada a bordo, cazzo” non sia slogan da t-shirt

Cosa resta di quello che è successo sulla Costa Concordia? Cos’era l’ordine gridato dal capitano De Falco a Schettino? Tutti lo ricordano, ma tutti hanno anche dimenticato il senso reale di quelle parole, un richiamo alla responsabilità. Così svanisce la memoria, anche quando le cose rimangono nella mente dell’uomo. ❝ Schettino, vada a bordo, cazzo! ❞ È il 13 gennaio 2012 e sono le 21.45 quando la Costa Concordia urta contro lo scoglio delle Scole, all’Isola del Giglio. Da allora è passato un anno. Molti ne hanno parlato in questi giorni. Non è vero che questo dimostra che abbiamo memoria. Questo dimostra che non se ne poteva fare finta di nulla (anche perché a livello internazionale Schettino è forse l’icona dell’italiano oggi più popolare, più degli spaghetti). A noi restano due problemi. Il primo riguarda che cosa sappiamo e cosa vogliamo sapere. Ovvero che cosa e fin dove siamo disposti a sapere e ad ascoltare. Il secondo ci deve vedere impegnati a non far scadere tutto a folclore. Di quella serata la frase più famosa è quella pronunciata nel corso di una concitata telefonata che ha fatto il giro del mondo tra il comandante Gregorio Maria De Falco, capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno, e il comandante della Concordia Francesco Schettino. È stata urlata più volte, riprodotta come un gadget sulle T-shirts, assunta come slogan, comunque vissuta come il simbolo di quell’evento. Ma di quella frase, trasformata in simbolo, è facile che si perdano gli elementi di sostanza. In quell’invettiva e in quell’ordine concitato sta un richiamo al principio di responsabilità. Il rischio è che, alla fine, rimanga solo l’invettiva. Stefano Carluccio

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