PUTIN E LA LEGGE ANTI-GAY:SE LA DEMOCRAZIA SI PIEGA ALLA MAGGIORANZA
Una lunga tradizione maschilista, il crescente peso della Chiesa ortodossa e la crisi demografica dietro l'ostilità dei dirigenti russi verso gli omosessuali.
388 voti a favore, 1 contrario, 1 astenuto. Tutti i partiti schierati compatti. E il 65 per cento della popolazione, dicono attendibili sondaggi d'opinione, appoggia la decisione essendo convinto che l'omosessualità sia una "deviazione" pericolosa che non deve in alcun modo essere incoraggiata. Non c'è dubbio che la nuova legge anti-gay in corso di approvazione in Russia sia pienamente "democratica", se per democrazia si intende solo il governo della maggioranza. Ma a noi sembra altrettanto indubbio che la democrazia non possa ridursi a questo e che per dirsi davvero tale essa debba anche saper sacrificare l'opinione della maggioranza per tutelare la minoranza: esattamente quello che nella Russia putiniana di oggi non accade.
Cerchiamo di fornire qualche spiegazione. La nuova legge, che è stata approvata in prima lettura dalla Duma (parlamento) con i numeri citati all'inizio, e che per entrare in vigore dovrà passare altre due letture parlamentari e avere l'ok finale del presidente, rende illegale e punisce con pesanti multe la "propaganda omosessuale" ove essa sia visibile a ragazzi minorenni - la cui "protezione" è lo scopo dichiarato della legge stessa. Il fatto è che i termini con cui viene definita tale propaganda e le circostanze i cui essa è "visibile a minorenni" sono volutamente assai vaghi, tali da consentire a polizia e giudici di vietare e punire praticamente qualsiasi manifestazione pubblica abbia come oggetto la difesa dei diritti degli omosessuali. Non siamo quindi tornati alla vecchia norma sovietica (abolita solo vent'anni fa) che considerava l'omosessualità in se stessa come un reato, ma un ampio passo indietro rispetto alla situazione presente è indubbio.
E già oggi la situazione è tutt'altro che rosea. La fortissima tradizione maschilista e omofoba della Russia non ha mai consentito agli attivisti glbt di esprimersi liberamente in pubblico, nonostante l'assenza - finora - di veri divieti legali: le reiterate richieste di tenere nelle città russe le manifestazioni del gay pride sono state sempre sistematicamente respinte, salvo in due o tre occasioni, qualche anno fa; soprattutto, la sempre crescente influenza della Chiesa ortodossa nelle scelte politiche ha finito per creare una barriera invalicabile ai diritti e alle libertà della comunità glbt. Dove non erano sufficienti le pressioni del patriarcato sulle autorità, a impedire fisicamente le manifestazioni per i diritti omosessuali si presentavano in piazza vere e proprie squadre repressive messe insieme dalle parrocchie, con preti e beghine schierati con icone e cartelli intorno a robusti e maneschi giovanotti facilmente reclutati negli ambienti dell'estremismo fascista.
La Chiesa ortodossa è in effetti il vero motore permanente della campagna contro i diritti degli omosessuali. Era la Chiesa, nel suo intreccio strettissimo con la monarchia dei Romanov, a criminalizzare furiosamente l'omosessualità ai tempi degli zar (era proibito, e severamente punito, persino indossare abiti tipici del sesso opposto). E' stata l'eclissi e la semi-clandestinità imposta con la violenza dai bolscevichi alla Chiesa, fra il 1918 e il 1933, a consentire le leggi liberali che in quegli anni permisero agli omosessuali di manifestarsi ed esprimersi liberamente. Ed è stato poi il successivo compromesso fra Stalin (e i suoi successori) e il patriarcato, in nome dell'identità nazionale russa, a riportare il mondo glbt nel buio dell'illegalità - facendo anche dell'accusa di essere gay un regolare strumento per colpire con pesanti condanne i dissidenti o presunti tali. La caduta del sistema sovietico nel '91 portò con sé - come inevitabile gesto di liberalismo - l'abolizione del reato di omosessualità, ma questa restò ufficialmente fino al '99 una "malattia".
Fu proprio Putin, ai suoi inizi molto teso a "modernizzare" e occidentalizzare il Paese, a rendere definitivamente "normale" il fatto di avere un diverso orientamento di genere: salvo poi, nuovamente su pressione di un patriarcato sempre più forte e invadente, iniziare a mettere anche su questo terreno gli stessi paletti imposti altrove - libertà personale garantita, a patto di non rompere le scatole sul terreno pubblico. A rafforzare il presidente in questa scelta anti-gay, oltre che la coerenza con le più generali scelte autoritarie del suo regime, è venuta anche la gravissima crisi demografica che da oltre vent'anni attanaglia il Paese (la cui popolazione sta diminuendo in misura appena attenuata dall'immigrazione) e che costituisce, giustamente, uno dei crucci maggiori di Putin. Non a caso finora il presidente non ha fatto mai nessun commento esplicito a proposito dei diritti degli omosessuali, salvo l'osservazione - rivelatrice - che "io devo badare in primo luogo agli interessi dei cittadini che fanno figli".
Tornando alla legge approvata dalla Duma, va osservato che essa - in varie versioni molto simili tra loro - era già stata approvata negli anni scorsi da nove parlamenti regionali e in particolare da quello di città importanti come San Pietroburgo e Novosibirsk: in base a questa legge in versione "locale" alcuni deputati di San Pietroburgo avevano denunciato l'estate scorsa persino la cantante Madonna per aver esibito, in un concerto tenuto in città, una scritta in difesa del movimento glbt (l'accusa è stata poi archiviata dalla magistratura). Va anche notato che proprio la marcia dello Stato russo contro i diritti dei gay, sotto la spinta della Chiesa, era un tema centrale della protesta portata avanti dal gruppo Pussy Riot e costato il carcere a due delle ragazze che ne fanno parte; così come è molto probabile che la questione torni nuovamente a galla questa primavera, quando non solo la legge sulla "propaganda gay" affronterà le successive letture, ma alla Duma dovrebbe anche arrivare un'altra legge importante, quella chiamata ad affrontare il terribile tema della violenza contro le donne.
Ancora una volta il problema storico del maschilismo in Russia finirà sotto i riflettori, fra pressioni contrapposte e passioni esasperate. Il movimento per i diritti dei gay dovrà anche affrontare le proprie divisioni interne, diventate in questi anni molto aspre, tra chi ha sempre propugnato una battagli aperta, con manifestazioni e sfide all'autorità (come il più noto fra gli esponenti della comunità gay moscovita, Nikolai Alekseev) e chi invece sostiene sia meglio tenere un profilo basso e lavorare lentamente per una crescita della coscienza libertaria nel Paese. Sarà interessante vedere poi se la cosiddetta opposizione liberale, che ha fatto molto parlare di sé per le grandi manifestazioni anti-Putin dei mesi scorsi sollevando problemi di democrazia ma che su questi temi molto delicati è finora rimasta del tutto silenziosa, saprà farsene carico oppure si limiterà a guardare con indifferenza.
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